giovedì 24 luglio 2014

 
Settemilacinquecento chilometri e otto fusi orari separano Kaliningrad e Juzno-Sakhalin. Kaliningrad è un'exclave russa sul Baltico conquistata ai tedeschi nella seconda guerra mondiale, mentre l'isola di Sakhalin è separata dal Giappone da una sottile stiscia di mare. Ad accomunare questi due luoghi così distanti è il calcio, più precisamente la Pervij Division (Serie B russa), il campionato su cui non tramonta mai il sole.
Pochi giorni fa, a Kaliningrad si è giocata Baltika - Sakhalin. Partita noiosa, vinta 1-0 dai padroni di casa con un colpo di testa, ma a suo modo memorabile: si tratta infatti della trasferta di campionato più lunga della storia.
Le dimensioni mastodontiche della Federazione Russa rendono la Pervij Division un campionato massacrante per il fisico di chi lo disputa e dispendioso per le casse di chi paga i viaggi. Costretto a giocare in questo inferno di trasferte impossibili e jet lag anche l'Anzhi Makhachkala, il club che fino a pochi mesi fa si faceva largo nell’élite del calcio europeo a suon di rubli sul mercato.

Il Progetto Anzhi, l’utopia di portare il grande calcio nel povero Daghestan, ha avuto una vita intensa ma breve. Tutto inizia nel 2011, quando Sulejman Kerimov, uno degli uomini più ricchi del mondo e grande azionista di Gazprom e Sberbank, decide di investire sulla sua squadra del cuore. I campioni però sono restii a trasferirsi a Makhachkala, in un territorio pericoloso e lontano dagli standard delle grandi città occidentali. Il motto del presidente però è “I soldi risolvono tutto”, così Kerimov decide di indorare la pillola firmando assegni milionari e promettendo la costruzione di una cittadella sportiva comprendente un nuovo stadio e ville extra-lusso per i suoi giocatori. Nel frattempo però la squadra diventa pendolare, ospite nel vecchio quartier generale del Saturn Mosca fallito, per raggiungere il Daghestan solo nei giorni delle partite.
In tre stagioni, l’Anzhi ha investito oltre 200 milioni di euro sul calciomercato, portando a Makhachkala giocatori del calibro di Roberto Carlos, Willian e Samuel Eto’o. Il trasferimento di Eto'o è un manifesto del modo di operare dei daghestani: offerta fuori mercato di 25 milioni all’Inter e 20,5 all’anno al camerunense, che sceglie la steppa del Caucaso per diventare il più pagato al mondo. Per battere la concorrenza di campionati più prestigiosi e città più ambite, l’Anzhi è costretto a mettere sul piatto stipendi d’oro anche per giocatori di secondo piano: finisce così per convogliare sotto un'unica maglia un collettivo di calciatori interessati solo a prendere i soldi e scappare a stimolanti sfide esotiche. Si, a prendere i soldi e scappare.
Il risultato è una squadra svogliata, che attende con ansia la busta paga piuttosto che il successo: un all star team di brasiliani, africani e giocatori dell’est europeo senza amalgama né mordente, incapace di competere con squadre meno ricche come il CSKA Mosca e lo Zenit San Pietroburgo.

Anno 2013, il presidente Kerimov annuncia pesanti tagli al budget, stanco di non vincere e frustrato dalle perdite finanziarie delle sue imprese: il “progetto a lungo termine” si sgretola in pochi giorni. Kokorin, acquistato un mese prima dalla Dinamo Mosca per 19 milioni di euro, decide di ritornare al suo vecchio club portando con sé Zhirkov, Denisov e Samba; Eto’o e Willian invece approdano al Chelsea. L’Anzhi, o meglio quello che ne resta, ottiene la prima vittoria soltanto alla 20° partita di campionato. Alla fine dell’anno è retrocessione all’ultimo posto.
Una squadra senza fondamenta, spazzata via come un castello di carta. Un progetto-senza-programmazione che ha vissuto al massimo per poi morire troppo giovane, come James Dean o Jim Morrison.
I soldi non risolvono tutto.
Il nuovo Anzhi dell’austerity oggi è tra le principali candidate alla promozione in massima serie e, stando agli annunci, la dirigenza è decisa a imparare dagli errori: non si guarda più agli sceicchi ma all’accorto Krasnodar, puntando di più sui talenti russi e su quelli che la neonata academy del club riuscirà a produrre.


Giuseppe Brigante

martedì 15 luglio 2014

Il successo di una nazionale è il riflesso della crescita di un movimento calcistico, spesso del campionato nazionale: disporre di un torneo probante e competitivo contribuisce a formare un gran numero di giocatori di buon livello, a beneficio della nazionale.

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